Prgc, il discorso dell'assessore Toffolo
La presentazione del nuovo Piano regolatore in Consiglio comunale è stata introdotta da un intervento dell'assessore all'urbanistica Martina Toffolo. Quella che segue è la trascrizione integrale del suo discorso.
Il piano regolatore che vi presentiamo oggi è uno strumento. Non risolverà tutti i nostri problemi perché è e resterà sempre soltanto uno strumento. Ma è uno strumento che, insieme ad altri ad esso coordinati, può innescare quei processi che da tempo invochiamo a Pordenone: la riconferma del nostro ruolo territoriale, il miglioramento della residenzialità, la qualità dell’offerta dei servizi, la vocazione economica e innovativa che la nostra città ha sempre avuto nella sua storia e che vuole continuare ad avere.
Questo piano non fornisce una visione predefinita delle azioni che si dovranno succedere nei prossimi anni. Chi oggi vi dicesse di avere soluzioni sarebbe un millantatore: fare politica in modo sano oggi è semmai definire modelli che possano essere costantemente valutati e se necessario corretti in funzione dell’estrema variabilità delle condizioni, per raggiungere miglioramenti continui e concreti rispetto alle condizioni di partenza.
Immaginate questo piano piuttosto come una piattaforma: ha il compito di recepire la propositività che emerge dal territorio e - dopo averne valutato la sostenibilità (ovvero la capacità della collettività e del territorio stesso di gestirne e governarne le criticità) - di sostenerne le azioni. Penso non soltanto alle grandi iniziative visibili, ma anche alle tante microazioni diffuse - sociali, culturali e anche economiche - che costituiscono la trama profonda della nostra comunità.
In questo senso, l’amministrazione non è più il soggetto che dispone e attua, ma l’istituzione che garantisce al cittadino – sia esso imprenditore, residente o fruitore – di trovare offerte in risposta alle sue domande, di poter contare su modalità che consentono di portare a compimento le sue idee di sviluppo personale e di azione, per le quali l’amministrazione si assume l’onere di valutarne la sostenibilità rispetto al contesto complessivo.
Diamo al nuovo piano regolatore questo ruolo, non certo perché siamo privi di una visione politica, come qualcuno nei mesi scorsi ha malignamente e irrispettosamente sostenuto, ma perché siamo i figli di una storia che ha dimostrato come le scelte preordinate, l’orientamento unico, il forte segno urbanistico, siano stati vincolanti e causa di molti dei problemi che oggi ci troviamo a dover governare. Quanti piani del passato sono stati in grado di portare a compimento le rivoluzioni che si ripromettevano? Quanti di quei disegni urbani hanno saputo adeguarsi al cambiamento di contesto che la storia imponeva loro? Quali si sono mostrati capaci di metabolizzare gli effetti della crisi che stiamo vivendo dal 2008?
In passato si pensava che prescrivere e predeterminare visioni fosse premiante. Così, alla prova dei fatti, non è stato, tant’è vero che noi qui a Pordenone abbiamo un piano vigente da più di trent’anni anni che è arrivato alla 133a variante, la gran parte delle quali sono servite a riallocare in un posto diverso funzioni pubbliche che pure erano state addirittura concordate. Quegli accordi iniziali non hanno saputo farsi carico dell’evoluzione economica, storica, sociale, che ad anni di distanza ha portato a diverse necessità di espressione.
La città è sempre stata una stratificazione, un’evoluzione lenta. A un certo punto l’urbanistica ha pensato di poter rivoltare la città. La vecchia pianificazione ci dimostra come queste grandi visioni siano state alla prova rifiutate come espressione concreta della città, economicamente e socialmente insostenibili; l’elefante che ha partorito il topolino.
Questo piano regolatore non prevede nuove zone di espansione rispetto allo strumento urbanistico vigente, riduce alcuni ambiti precedentemente identificati e sottopone i rimanenti a meccanismi selettivi pensati per premiare la qualità e la sostenibilità ambientale. La cifra politica del nuovo piano regolatore è l’ambizione di trasformare le eredità dei piani del passato in opportunità di sviluppo, al di là dei preconcetti demagogici.
Quelle che oggi chiamiamo colate di cemento sono state sostanziate da scelte che si pensava fossero logiche nel momento in cui sono state assunte: oggi possiamo, e abbiamo il dovere di farle diventare motore per un’economia basata sulla rigenerazione e sulla riqualificazione urbana. Allo stesso modo, le zone industriali monofunzionali - che, non rispondendo più alle sfide della produzione contemporanea, si stanno trasformando in vuoti urbani - possono diventare luoghi di ridefinizione e di rilancio per nuove categorie produttive, nonché superfici per la produzione energetica al servizio dell’intera città.
Ma non siamo più solo noi che dobbiamo decidere la strada da percorrere. Noi dobbiamo creare le condizioni per aiutare imprenditori intelligenti e cittadini propositivi ad attuare queste visioni, pur nell’ambito di un progetto di sostenibilità economica, sociale e ambientale collettivo e condiviso.
Il pubblico sostiene, accoglie, promuove l’iniziativa privata, garantendo l’interesse generale e la pubblica utilità. Lo facciamo attraverso modalità operative moderne, per noi spesso nuove anche se sono già state sperimentate con successo in Italia e in Europa, che sono pensate per premiare i comportamenti virtuosi e per unire il destino dell’iniziativa individuale al benessere collettivo. Penso ai crediti edilizi generati dalla riqualificazione del patrimonio esistente, che diventano condizione per la trasformazione e rifunzionalizzazione di aree irrisolte. Penso alla qualità imposta agli interventi di trasformazione, che deve rispondere a livelli necessari di sostenibilità dell’ecosistema urbano nel suo complesso. Penso alla trasformabilità delle aree esistenti già zonizzate, che viene subordinata a un aumento della qualità ambientale.
Il piano regolatore che portiamo oggi alla vostra attenzione è il primo passo di questo processo. Quello che vi chiediamo stamattina è un ragionamento sulla macrogriglia su cui poi insieme andremo a fare progetti. Per questo il generico scetticismo e le critiche fine a se stesse non saranno utili, nella nostra discussione: siamo qui per definire i principi che indirizzeranno le azioni future e sui quali dobbiamo riconoscerci oggi per operare con la necessaria dinamicità da domani, quando ragioneremo per esempio sul regolamento per i crediti edilizi o sui livelli di qualità ambientale che vorremmo garantiti.
Questo abbiamo ritenuto fosse necessario e urgente decidere per la nostra città. Ma abbiamo tenuto in considerazione fin dall’inizio anche i mutamenti in corso nella configurazione istituzionale del territorio pordenonese. Le analisi hanno abbracciato l’intero ecosistema dell’area vasta: nel 2012 ci eravamo dati un perimetro di lavoro lungimirante, che oggi coincide in gran parte con l’ipotesi di Unione Territoriale Intercomunale deliberata dalla Regione. Con quelle amministrazioni in questi anni abbiamo dialogato, condividendo gli indirizzi e mettendo le basi per l’armonizzazione delle politiche territoriali che sta nella logica delle Uti. Pur non avendo titolo per disporre per altri Comuni, inoltre, le indicazioni del nuovo piano regolatore di Pordenone tengono già conto del conurbamento di fatto con Cordenons e Porcia, e con quest’ultimo abbiamo avviato colloqui specifici e proficui.
Il nuovo piano regolatore si concentra infine su alcune caratteristiche della nostra città che vogliamo preservare, perché sono quelle che, nella loro unicità, possono essere eccezione premiante per il nostro territorio, invece che limitazione. Tra queste metto, per esempio, l’elemento ambientale. È vero che noi abbiamo un elevato standard di qualità ambientale e di verde pro-capite, ma questo non deve spingerci ad accontentarci, magari finendo per limitarlo o trasformarlo, ma semmai a preservarlo e potenziarlo; perché vivere in una città che è attraversata da un fiume non regimentato è un patrimonio naturale straordinario e può diventare sprone all’intraprendenza del cittadino e delle associazioni.
Quella che oggi dal punto di vista ambientale è la nostra fonte principale di criticità, il fiume Noncello e il suo sistema di rogge, possiamo trasformarla invece in opportunità di valorizzazione naturale e quindi di produzione energetica, di rilancio turistico ed economico. Significa imparare a leggere le caratteristiche intrinseche di un territorio non come un problema, ma come peculiarità e potenzialità. Esattamente come hanno saputo fare cento, centocinquanta, duecento anni fa coloro che hanno dato vita ai primi avamposti industriali che hanno reso grande questa città.
Il piano regolatore che sottoponiamo oggi alla vostra attenzione riparte esattamente da lì. Da quell’intuito, da quel genio, da quell’intraprendenza, da quella capacità di adattamento. Questa è la grande trasformazione che siamo chiamati a interpretare oggi.
Martina Toffolo
Assessore all'urbanistica del Comune di Pordenone